Alla Casa della Musica Ungherese

Addentrandosi un pochino nel parco del Városliget, appena oltre piazza degli Eroi si nota in lontananza una linea bassa all’orizzonte, sospesa tra gli alberi del parco, gialla e nera, quasi una superficie a specchio sorta tra gli alberi, un piano che li unisce a metà altezza. E’ il tetto della nuova Casa della Musica Ungherese, il nuovo bellissimo Museo e Sala da Concerto di Budapest.

Cosa sarebbe Parigi senza il centro Pompidou, Roma senza il Maxxi, o Londra senza il London’s Eye? Una grande capitale europea non smette mai di crescere e trasformarsi e accompagnare il suo tempo. A Budapest gli anni ’20 di questo secolo lasceranno grandi opere di architettura che oggi chiamiamo contemporanea come il primo grattacielo di sempre della città (prossimamente ne parlerò qui) e questo spettacolare complesso culturale nell’area del Varosliget che oggi inaugura la Casa della Musica Ungherese e vedrà a breve (almeno) il nuovo Museo Etnografico e il Pannon Dome del giardino zoologico sempre ai margini del parco.

Anima giapponese
L’opera è dell’archistar giapponese Sou Fujimoto, al suo primo progetto permanente in Europa, dopo il Serpentine Pavillon di Hyde Park del 2013. L’architetto ha qui coniugato in chiave seminimalista tipica del modo di intendere gli spazi della sua cultura l’architettura organica cara all’Ungheria ancestrale e sciamanica del pluricelebrato Makovecz. La prima ispirazione è stata colta dal luogo in cui è immersa la Casa: il Varosliget, il parco cittadino di Budapest nato a fine ‘800 dal bosco che proteggeva, come in un dramma shakesperiano la città di Pest insieme al Danubio: “Volevamo trasformare il bosco in architettura” ha affermato Fujimoto e davvero sembra che quasi la natura stessa abbia creato questo edificio, a cui ci si avvicina quasi per caso, senza accorgercene, lì in mezzo agli alberi. L’effetto è dovuto ai pozzi di luce dorati, cavità aperte nel piano del tetto, attraversati dagli alberi del parco che si addentrano nella struttura anche all’interno dell’edificio e sbucano da questi cilindri in cui si riflette la luce del bosco. Fujimoto del resto è nato nell’isola di Hokkaido, la piu settentrionale del Giappone, ricca di foreste e parchi nazionali, e ha sempre postoo la natura come elemento primo della sua opere.

Sul tetto poi spuntano migliaia di pannelli dorati zigzaganti, come un tetto di foglie in un bosco in autunno, a richiamare le foglie dorate della sala concerto dell’Accademia di musica Ferenc Liszt.

Il cielo in una stanza
Come in un bosco, poi, anche all’interno dell’edificio non troviamo punti di riferimento precisi, i colori continuano ad essere il giallo e il nero, le forme sempre arrotondate, abbiamo alle spalle grandi vetrate, ci si sente al contempo in uno spazio chiuso e protetto, ma anche arioso e vitale, che incoraggia il visitatore ad aggirarsi intorno e scoprirlo pian piano.

Le vetrate quasi non fanno notare la sala da concerto che si apre sul retro (ci sarà spazio per tutta la musica di qualità classica, folk, etnica, pop, elettronica), i tavoli del caffè sembrano all’esterno ma non lo sono, c’è un angolo in cui sedersi come su delle casse di legno pregiato, ma l’attenzione alla fine cade su questa grande elica in un angolo, una enorme e lentissima scala a chiocciola, che corre per ben quattro piani, portandoti alle sale conferenze ealla biblioteca in alto in alto, per poi diventare bianchissima ed eterea verso il piano -2, dove c’è la mostra permanente sulla storia della musica europea. Improvissamente qui tutto è asettico, bianchissimo, senza forme nette, è il Giappone modernissimo ed essenziale di soli volumi puri, acromatici, senza nessun elemento di arredo se non una leggera linea orizzontale (una panca) che ci accompagna nella purezza del suono.

La mostra
La mostra curata dallo storico della musica András Batta e dal padrone di casa Márton Horn, ci porta per mano nella storia della musica europea, che parte dalle origini, dal ritmico suono di tamburi intervallati dai versi di animali selvaggi di una foresta virtuale, per Poi ci vengono insegnati i movimenti delle antiche danze unghersi, che siamo invitati a ripetere i una piccola cabina di legno. Si passa poi a condurre un coro gregoriano, tra antichi codici e manoscritti, per poi incontrare gli ologrammi di Haydn, Bach, Mozart e Beethoven e salire su un palco d’Opera. Siamo nei secoli della tecnica: la sala successiva passa dai fonografi al cloud, ci si diletta a remixare le più note colonne sonore, a improvvisarsi deejay e a imparare i rudimenti dei principali strumenti dell’orchestra.

C’è anche una sezione per le mostre temporanee, ancora non aperta al pubblico, che sarà inaugurata da una retrospettiva sulla musica pop ungherese, dal 1957 al 93, anni in cui il clima di relativa libertà che si viveva in Ungheria rispetto ad altre nazioni del patto di Varsavia consentì al Paese di continuare anche nel pop e nel rock la sua grande tradizione musicale della classicità.

il Sound Dome
La suggestione continua accanto nell’Hangdome, un “Sound dome” ispirato dal Kugelauditorium, la sala da concerto sferica creata da Karlheinz Stockhausen per l’expo del 1970 di Osaka. Il “duomo” consta di 32 speaker nascosti alle spalle di una cupola semisferica al cui interno i visitatori, disposti in cerchio su enormi, e comodissimi, Sacchi Zanotta di iuta, possono immergersi in una esperienza audiovisiva totale, che comincia tra i concertisti sul palco dell’ Accademia di Musica e continua a bordo di una barca di pescatori su un lago.

Il parco giochi
Infine il gioco dell’esplorazione della (casa della) musica continua anche fuori, basta porger l’orecchio a questo suono come di zufoli che si sentono poco lontano, qualche passo e quasi dal nulla spunta un parco giochi gentile e assolutamente unico di soffietti e pedane di legno, dove a ogni movimento si gioca coi suoni. E’ un richiamo anche all’ungherese Zoltan Kodàly, che viveva non lontano da qui, che ideò un metodo musicale naturaleper insegnare la musica ai bambini anche in tenera età, ripreso anche da Spielberg in Incontri ravvicinati del terzo tipo.

il Liget project

Sou Fujimoto non ha ancora voluto commentare l’edificio, dicendo di nn averlo visitato al completamento dei lavori, ma forse è stato un modo elegante per evitare una stretta di mano scomoda con un personaggio come Orban. O forse vuole evitare di inserirsi nelle polemiche che hanno coinvolto l’intero progetto di rifacimento del parco, il Liget project, un progetto del valore complessivo di 1 miliardo di euro, in quello che secondo il commissario del governo Laszlo Baàn sarà il più complesso culturale d’Europa. Sull’esempio del MuseumsQuartier di Vienna prevede la nascita nel parco di altri grandi contenitori culturali come il nuovo Museo Etnografico, ormai quasi pronto, spesa120 milioni di euro, con due enormi falde che arcuate emergono dal terreno e la facciata di pizzi, la nuova Galleria Nazionale Ungherese (costo 300m. euro, col trasferimento del Museo dal palazzo reale di Buda, libero ora per Orban) ancora giapponese, stavolta firmata da Kazuyo Sejima e Ryūe Nishizawa, in cui tanti piani bianchi orizzontali sembrano sul punto di collassare l’uno sull’altro, la ricostruzione del neobarocco Museo dei Trasporti, che diventerà dell’Innovazione eancora il Pannoniadome, il più grande biodome d’Europa, i cui lavori sono ora interrotti per fine finanziamenti.

Grandi lavori pubblici e tanti soldi per un progetto sempre osteggiato dal sindaco di Budapest (all’epoca dell’approvazione sindaco del municipio in cui sorge il parco) e che vide i “Difensori del parco” incatenarsi agli alberi ed essere portati via con la forza dagli agenti all’inizio dei lavori.

Fujimoto però dovrebbe esserne fiero, se museo doveva nascere il suo così bello, low profile, fche a di tutto per nascondersi ed esaltare quel che resta del bosco, è il progetto ideale.


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